
10 Mag Il Pinkwashing e la comunicazione etica
Qualcuno di voi avrà già sicuramente sentito parlare del Pinkwashing, soprattutto riferito a strategie di marketing. Ma cosa significa precisamente il termine Pinkwashimng? Facciamo un po’ di chiarezza.
Nato dalla crasi delle parole “pink“ (rosa) e “whitewashing“ (imbiancare o nascondere) questo termine è stato utilizzato per la prima volta negli anni 2000 dalla Breast Cancer Action, un’associazione per la lotta contro il cancro al seno, con lo scopo di identificare le aziende che fingevano di sostenere le donne malate di cancro al seno, lucrando sulla loro malattia.
In quegli anni, infatti, le aziende che utilizzavano il fiocco rosa sui propri prodotti erano numerose: tutto ebbe inizio nel 1991 quando l’americana Charlotte Haley (che ebbe il cancro al seno) iniziò a cucire a casa dei piccoli fiocchi color pesca ai quali allegava una cartolina che denunciava la scarsità dei fondi destinati dal governo alla lotta contro il cancro al seno.
La signora cominciò a distribuire le cartoline con i fiocchi nei negozi della sua città e la sua iniziativa ebbe così tanto successo che venne contattata da una famosa casa di produzione di cosmetici e da una rivista, che chiesero a Charlotte di poter acquistare l’idea dei suoi fiocchi e investirci del denaro.
Al rifiuto della signora Haley, gli investitori semplicemente cambiarono il colore al fiocco (nel rosa che oggi tutti noi associamo alla lotta contro il cancro al seno) e lo utilizzarono sui propri prodotti. Da quel momento moltissime altre aziende usarono il famigerato fiocco rosa, chi per sostenere veramente la causa e chi invece solo per questione di ritorno di immagine.
Se vuoi saperne di più sul Pinkwashing, puoi leggere qua un approfondimento su questo argomento